lunedì 27 agosto 2007

Introduzione

Siamo un gruppo di sei docenti che l’anno scorso hanno deciso di iscriversi al corso di specializzazione per il sostegno e che dopo molta fatica e dedizione si avviano, speriamo entro la fine di novembre, al conseguimento del fatidico titolo. Durante questo periodo di intenso studio abbiamo tutti compreso quanto sia importante per realizzare una buona qualità di integrazione degli alunni diversamente abili ed un’efficace azione inclusiva per i molti alunni definiti “normo- dotati”, ma con bisogni educativi speciali, un radicale cambiamento di prospettiva educativa. Vi è infatti in tutti noi docenti la consapevolezza che occorra rendere sempre più “speciale” la normalità di far scuola tutti i giorni. Occorre infatti un radicale cambiamento di prospettiva di chi riveste il ruolo di docente-educatore perché è fondamentale non solo un’azione educativa significativa, di qualità ed efficace con gli alunni diversamente abili, ma anche sempre una accurata attenzione a tutto il contesto della classe e quindi per esempio ai fenomeni sempre più in aumento della multietnia e dell’interculturalità, e ai problemi più comuni di disagio giovanile, aimè troppo spesso oggetto di cronaca.
Una possibile soluzione ce la offre Dario Janes, che nel suo testo “ La Speciale normalità. Strategie di Integrazione e di Inclusione per le disabilità e i bisogni educativi speciali”(edizioni Erikson, Trento) introduce il concetto di “speciale normalità”. Per la sua definizione lascio la parola ai miei compagni di corso.
Prossimamente racconterò anche la mia esperienza.
Un saluto
Paola Monticelli

10 commenti:

CT_R09936 ha detto...

L'argomento in oggetto è interessantissimo e attuale dal momento che si parla molto di “Speciale Normalità” per intendere come tutti siamo simili, quindi portatori di un bisogno di identità sociale, e diversi nello stesso tempo e dotati di una ricchezza singolare, o di disabilità, che devono essere messe in luce e non soppresse, evitate o ignorate. Per questo motivo oggi è necessario rivedere quali sono i potenziali destinatari di un intervento di educazione speciale dal momento che non riguarda più solo ed esclusivamente i diversamente abili ma chiunque manifesti una qualche problematicità di fronte ai “normali” processi educativi, scolastici od extrascolastici.
È evidente come nella scuola ci siano alunni con situazioni estremamente diverse, più o meno disagevoli, che però sono accomunati da difficoltà simili, nell’apprendimento e nello sviluppo. Può trattarsi di alunni stranieri, con differenze culturali, o ragazzi con vari tipi di disabilità o disturbi specifici di apprendimento, disturbi emozionali e comportamentali. A volte è la tipologia di deficit a differenziarli molto ma si dimentica che il loro denominatore comune, che vale anche per i soggetti “normodotati”, è il bisogno di attenzioni “amorevoli” e di interventi mirati o, appunto, “speciali”. La scuola necessità così di andare oltre le diagnosi e di imparare a valutare con una forte competenza pedagogica le potenzialità dei soggetti senza medicalizzare i vari bisogni educativi ma adottando didattiche che utilizzino mediatori adeguati, mappe logico-disposizionali, strategie metacognitive (come possono essere le varie forme di cooperative learning e il tutoring). Queste possono diventare modalità normali e, allo stesso tempo speciali, di far scuola dove ognuno può dare il proprio contributo e pensare ad un proprio progetto storico di vita.
In tal modo, come direbbe Ianes, si deve tendere a far diventare sempre più speciale la normalità e normale la specialità. Con queste premesse può effettivamente realizzarsi l’integrazione che vede nell’incontro con l’altro, il diverso, non più un ostacolo (limes) ma la porta d’accesso verso un modo nuovo di vivere la vita (limen) e quindi rendere accessibile a noi stessi il richiamo d’ulteriorità.

un caro saluto a tutti

Carla Tieto

MCS_R10113 ha detto...

Del concetto di speciale normalità Dario Janes prende in considerazione i due fattori normalità e specialità:
“… normalità del bisogno di educazione e formazione …” che è uguale in tutti gli alunni, siano essi diversamente abili o normodotati, in quanto è ad essi comune il bisogno ad “… uno sviluppo e ad una funzionalità il più possibile normale e il più possibile rispondente alle normali richieste dei normali luoghi di vita” in cui si esprime la loro personalità. In questa normalità si possono individuare alcune caratteristiche speciali e peculiari della persona: la sua salute, i fattori fisico-funzionali, le capacità; il suo livello di partecipazione alla vita sociale; l’incidenza di fattori contestuali che condizionano positivamente o negativamente la sua piena espressione.
Il concetto di speciale normalità può essere quindi riferito a tutti gli alunni nella misura in cui il docente non si fermi a considerare speciale solo la situazione di individui certificati in quanto affetti da particolari tipologie di handicap ma si impegni a considerare gli elementi di specificità di ogni soggetto che devono trovare espressione e valorizzazione per consentirne lo sviluppo di tutte le dimensioni della personalità.
Nel concetto di speciale normalità i due fattori si mescolano e si influenzano venendo a costituire la specialità elemento di arricchimento che stimola l’insegnante, attento ed interessato, alla ricerca di nuove risorse e nuove metodologie educativo didattiche per far fronte alla complessità dei bisogni educativi speciali.
Saluti a tutti,
M.Cristina

PR_R10018 ha detto...

L’integrazione scolastica delle persone disabili costituisce uno dei percorsi più qualificanti del nostro sistema formativo. A partire dagli anni ’70 questo percorso è in continua evoluzione: l’obiettivo della ricerca è quello di individuare le condizioni per garantire una scuola più efficace, quindi il successo formativo per tutti i soggetti e il massimo di opportunità di autorealizzazione nella vita. Dario Janes, in un recente intervento nell’analisi del processo educativo in ambito di disabilità/integrazione e delle dinamiche ad esso connesse, ha definito il concetto di “speciale normalità” nella gestione dell’integrazione. Il termine normalità per lo studioso fa riferimento alla normalità dei bisogni educativi speciali, bisogni mostrati da tanti alunni, anche non certificati come disabili, in quanto si riferiscono alla normale necessità ed esigenza di formarsi e svilupparsi in modo consono e funzionale a ciò che la vita, il contesto ambientale, la società e anche le esigenze personali richiedono. Normalità non significa tuttavia soggetti tutti uguali, ma individui differenti, con caratteristiche, stili cognitivi e attributivi, contesti socio-ambientali, potenziale, aspettative e preferenze diverse, che li rendono appunto speciali, “unici nella loro specialità”. Questa situazione di normale diversità/ speciale normalità richiede da parte del team docenti l’adozione di un approccio nuovo nei confronti di tutti gli alunni, un approccio che permetta di comprendere a fondo le diversità e le individualità per realizzare buone prassi di integrazione per gli alunni disabili e di inclusione per tutti gli alunni con bisogni educativi speciali. Quindi, una scuola in cui l’ordinaria offerta formativa si arricchisce di specificità tecniche derivanti dalla ricerca della didattica “speciale”. La “specialità si dissolve all’interno delle normali prassi rendendole più efficaci. Durante la mia esperienza di tirocinio ho potuto riscontrare che a meno che non si tratti di disabilità gravi la linea di confine tra i problemi e le esigenze di uno studente certificato e quelli di altri studenti con disabilità lievi è molto labile e di difficile comprensione. Pertanto, gli accorgimenti, le strategie, gli strumenti dispensativi e compensativi utilizzati per trasmettere i contenuti al diversamente abile sono diventati strumenti di uso comune in classe.
Un caro saluto a tutti

Patrizia Reale

RV_R10117 ha detto...
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RV_R10117 ha detto...

Cari colleghi,
ho apprezzo molto i vostri interventi poiché l'argomento mi sta molto a cuore, è uno tra quelli che più mi hanno coinvolto nel corso della nostra formazione.
Mi sono chiesto il perchè, e la risposta che più mi appaga è che trovo la tematica immersa e in sintonia con la nostra società, con la realtà che ci circonda.
I termini 'normalità e specialità' evidenziano la sempre maggiore presenza di bisogni educativi specifici.
Credo veramente che la scuola di oggi abbia bisogno di concepire una educazione incentrata sulla speciale normalità, dove non è solo l’alunno diversamente abile il soggetto speciale, poiché siamo tutti speciali.
Mettere in pratica una didattica speciale incontra oggi ancora molti ostacoli, ad esempio i tempi da rispettare, la burocrazia, le scadenze, i programmi, la frammentarietà delle esperienze a scuola, l’ostacolo rappresentato da alcuni colleghi ecc, anche se si parla da tempo, di temi come stili cognitivi e bisogni specifici.
Bisogna pensare ad una scuola che promuova la personalità dell’alunno e che abbia, prima di tutto, una consapevolezza di quale è il ruolo del docente oggi: il docente non è chi trasmette nozioni, ma è chi sviluppa la coscienza che le classi sono eterogenee, formate da individui legati tra loro da un’interdipendenza; è chi intende le discipline come strumenti di ricerca, che favorisce l’acquisizione di quelle qualità della personalità degli alunni, come l’autostima e la fiducia, affinché possano vivere l’esperienza scolastica in modo positivo, sviluppando le proprie personali ricchezze.
Mi pongo e vi pongo la seguente domanda: quello di cui parliamo è un cambiamento che richiede tempi molto lunghi?
Un saluto a tutti
R.Viti

PR_R10018 ha detto...
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VR_R09959 ha detto...

A fronte di classi sempre più eterogenee nella loro composizione, per la presenza non soltanto di alunni con disabilità, ma anche con deficit di attenzione, autostima, motivazione, differenze culturali e sociali, la condizione che si va delineando sempre più nelle nostre scuole è quella di una “speciale normalità”.
La speciale normalità, secondo Dario Ianes, riguarda i bisogni formativi dei vari soggetti: non più soltanto bisogni speciali, ma anche desiderio di normalità, di riuscire a interagire in una società complessa e ad affrontare i vari compiti e difficoltà della vita quotidiana.
Fra i docenti c’è una maggiore propensione che nel passato ad analizzare i bisogni individuali dei diversi soggetti, a incentivare le particolari doti o “talenti” di ciascuno, a rispettare i tempi di apprendimento degli studenti e a offrire proposte didattiche diversificate, utilizzando mediatori di vario tipo, in modo da poter venire incontro agli stili cognitivi degli allievi e valorizzarne la pluralità di intelligenze.
L’individualizzazione dei percorsi educativi deve essere effettuata nell’ottica dell’integrazione e dell’inclusione: la personalizzazione consente a tutti di raggiungere risultati formativi positivi sia a livello cognitivo che affettivo, emotivo e sociale, e a consolidare l’autostima e l’autonomia.
La normalità che deve essere perseguita riguarda il bisogno di appartenenza a una comunità e di riconoscimento della propria personalità e del proprio talento. La specialità ci fa percepire, invece, che la diversità è un valore, e che nel confronto e nella collaborazione con gli altri ognuno ha l’opportunità di crescere, nel rispetto dell’individualità di ciascuno.
La scuola quindi mette al centro delle sue pratiche educative il soggetto in formazione; i docenti, lavorando collegialmente tra di loro e con gli studenti, cercano di costruire un ambiente scolastico e di classe nel quale le differenze possano incontrarsi, rivelarsi una risorsa, rafforzando il senso di identità e di appartenenza a un gruppo o a una comunità. La negoziazione di regole, ad esempio, o il cooperative learning, o le attività di laboratorio, si rivelano metodologie preziose per instaurare relazioni interpersonali costruttive e rispettose dell’altro, nonché occasioni di apprendimento metacognitivo.

Un abbraccio a tutti

Violetta Risi

PR_R10018 ha detto...

Come già osservato ampiamente, il discorso su una scuola di “speciale normalità porta a parlare inevitabilmente di qualità dell’integrazione scolastica degli alunni disabili, convinti che questa condizione coincide con una migliore qualità della scuola per tutti. C’è da chiedersi, a questo punto, qual’è la condizione nelle scuole italiane? Purtroppo, la situazione del nostro Paese non è poi tanto confortante: troviamo buoni, ottimi esempi di cosiddette buone prassi di integrazione, cioè di realtà scolastiche dove tutta la comunità è impostata a soddisfare al meglio le esigenze di formazione dei diversi bambini, dove si pratica l’innovazione didattica e il clima è cooperativo; ma troviamo anche molte, troppe situazioni inadeguate sotto diversi aspetti:
- perché il minore in difficoltà è scarsamente sollecitato nell’apprendimento, questo accade soprattutto a chi è in situazione di gravità;
- perché non c’è buona integrazione socio-relazionale in classe, tra compagni e/o con tutti gli insegnanti;
- perché non c’è significativa collaborazione tra insegnanti di sostegno e di classe;
- perché non c’è significativa collaborazione con la famiglia e/o con gli specialisti della sanità, o con l’autorità scolastica;
- per insufficienza di risorse personali (monte ore di sostegno, assenza di figure educative, ecc.) o materiali;
- per intoppi nel lavoro di rete con il territorio (Comune, Provincia, Azienda ASL, Associazioni di volontariato).
Le cause di inefficacia o inefficienza , quelle menzionate e altre ancora, possono presentarsi isolate o compresenti.
Ecco perché negli ultimi anni si va ragionando con impegno sulle condizioni e gli indicatori di qualità della integrazione scolastica, sia a livello internazionale che in particolare nel nostro Paese.
Voglio concludere questo intervento, riportando quanto, tra l’altro, affermato in merito dalla dott.ssa Marisa Pavone al Convegno di Mantova del 21 ottobre 2006: “così come l’Educazione, anche l’Integrazione scolastica rappresenta una utopia necessaria, un traguardo sempre perseguito e mai completamente raggiunto, perché dietro l’angolo delle tappe intermedie (oppure, e dobbiamo prevederla come eventualità realistica – degli ostacoli) vi sono sempre “buone prassi” innovative da realizzare, esito della ricerca scientifica, ma soprattutto dell’esperienza educativo-didattica sul campo”. E questo ci rassicura, perché ci aspettiamo che con l’impegno, il confronto, la collaborazione fra gli attori (persone e istituzioni), e la ricerca professionale, si possa migliorare la situazione. Spero che questo miglioramento avvenga in tempi brevi, perché una migliore qualità della scuola per tutti, certificati e non, è un obiettivo irrinunciabile.

Un abbraccio a tutti
Patrizia Reale

CT_R09936 ha detto...

Ciao a tutti! Condivido pienamente quanto detto da Paola a proposito della richiesta di normalità da parte di molti ragazzi diversamente abili. È capitato anche a me, durante l’esperienza di tirocinio diretto, che l’allievo che seguivo chiedesse di andare nell’aula di informatica per imparare a navigare in Internet e ad utilizzare Word ed Excel come gli altri compagni. Ciò conferma ancora una volta che nella “normalità” prende forma l’identità sociale in riferimento a quella individuale e vorrei riportare un celebre poema-manifesto di Nirje, apparso nel 1969:

“Normalizzazione significa… un ritmo normale del giorno.
Ti alzi dal letto al mattino,
anche se hai una gravissima disabilità, ti vesti ed esci
per andare a scuola o al lavoro: non resti a casa.
Al mattino prevedi quello che farai nella giornata,
alla sera ripensi a quello che sei riuscito a fare.
Il tuo giorno non è soltanto 24 ore sempre uguali,
minuti monotoni, pomeriggi senza fine.
Mangi ad ore normali ed in modo normale,
non solo con il cucchiaio, se non sei più un bambino,
non mangi a letto o in poltrona, ma a tavola,
e non ceni presto nel pomeriggio, per la comodità del personale.
Normalizzazione significa… un ritmo normale della settimana.
Abiti in un posto e vai a lavorare in un altro,
in un altro ancora passi il tuo tempo libero.
Programmi i divertimenti del fine settimana
E «non vedi l’ora» di tornare a scuola o al lavoro,
il lunedì mattina.
Normalizzazione significa… un ritmo normale dell’anno.
Una vacanza per rompere la routine, con il
cambiamento delle stagioni che porta con sé cambiamenti nel lavoro,
nei cibi, nello sport, nello svago e in tante altre cose della tua vita.
Normalizzazione significa… le esperienze normali di sviluppo nel
ciclo di vita.
I bambini, e solo i bambini, vanno in colonia.
Nell’adolescenza ti curi molto del tuo aspetto,
dei tuoi capelli,
pensi alla musica e ai ragazzi o alle ragazze.
Da adulto lavori e ti senti responsabile.
Da vecchio hai i tuoi ricordi da rivivere
e la saggezza dell’esperienza.
Normalizzazione significa… avere desideri e fare scelte rispettate dagli
altri
Gli adulti hanno la libertà di decidere
dove vogliono vivere, che lavoro preferiscono
e che amici frequentare.
Se stare in casa a guardare la televisione
o andare a concerto, o a passeggiare in città.
Normalizzazione significa… vivere in un mondo di due sessi diversi
I bambini e gli adulti hanno relazioni con l’altro sesso, o con lo stesso,
da adolescente cerchi di avere il ragazzo o la ragazza,
da adulto puoi decidere di sposarti e avere figli.
Normalizzazione significa… il diritto ad una situazione economica normale.
Tutti abbiamo il nostro reddito e le nostre responsabilità,
anche se abbiamo la pensione di invalidità,
dobbiamo avere i nostri soldi e decidere come spenderli: nel superfluo e nel necessario.
Normalizzazione significa vivere in una casa normale in un quartiere normale
e non in una grande istituzione, con 100 persone disabili, o anziane.
Significa non essere isolato dalla società”.

Questo dimostra il valore fondamentale della normalità che comunque deve sempre essere unita alla specificità e peculiarità dell’essere umano che non può mai essere visto isolato dal contesto in cui è inserito in una tensione alla sintalità e all’amore politico tanto auspicato dal prof. Larocca.

Un caro saluto a tutti

Carla Tieto

MG_11 ha detto...

Ciao Carla,
per piacere contattami in privato al mattia@zeroseitecnologia.it :-)

Saluti
Mattia